Pagina:Da Ponte, Lorenzo – Memorie, Vol. I, 1918 – BEIC 1797111.djvu/163

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— La Maestá Vostra lo deve, per trionfo della giustizia, per onore del trono, per conforto della mia avvilita onestá. Io mi genufletto ai piedi della Maestá Vostra, di dove non mi alzerò senza essere pienamente esaudito. Ella si lasci piegare da queste lagrime, che sono lagrime d’innocenza. Si. o Sire, io lo posso dire, lo posso giurare: son lagrime d’innocenza, se non è delitto per me Tesser uomo e l’aver le passioni dell’uomo...

— Questo no; ma m’hanno detto...

— E per un «m’ hanno detto» il moderato, il saggio Leopoldo mi toglie un pane che non mi diede? Per un «m* hanno detto» mi fa partire da una cittá, che m’accolse onorato undici anni, che mi vide esercitar tutto questo tempo la vera religione dell’uomo, la beneficenza verso la famiglia, verso gli amici, verso i nemici medesimi, che mi dá diritto di cittadinanza o almeno di pubblica protezione?

— Alzatevi.

— Per un «m’hanno detto» macchia il mio nome coll’eterna infamia di doppi bandi, mi mette al paragone dei primi scellerati del mondo, mi nega un asilo di pochi palmi di terra in tutti gli Stati imperiali, mi fa diventare favola degli sfaccendati, ludibrio degli ipocriti, scherno dei traditori?

— Alzatevi.

— Sire, non devo, non posso. Ella me ne dia la forza, esaudendo il mio voto. Ella non mi lasci piú negli orrori d’una sentenza che carpirono i miei nemici dalla sua ingannata giustizia, e che non è autorizzata da altra legge che da quella della forza. Questa non è nel codice di Leopoldo.

— Alzatevi! ve lo cornando. Un sovrano è padrone di far quel che vuole in casa propria, e non ha debito di rendere conto ad alcuno della sua volontá.

— Io mi prostro, o Sire, piú profondamente per implorare perdono dalla sua clemenza. Io giurai a tutto costo di dirle il vero. Questo sentimento non può dispiacere al magnanimo Leopoldo. Un sovrano non deve fare che ciò eh’è giusto.

— Sará sempre padrone di tener chi gli piace al suo servigio e di congedare chi non gli piace.