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Pagina:Da Ponte, Lorenzo – Memorie, Vol. I, 1918 – BEIC 1797111.djvu/36

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pareva di conoscere. Era questi vestito con decente semplicitá, aveva uno aspetto venerabile ma dolcissimo, ed un tuono di voce che propriamente empieva il core di un sentimento piacevole. Salutommi cortesemente, mi prese per la mano e fecemi passare da quella camera, in cui non v’erano che due sedie e una vecchia tavola, a un picciolo gabinetto, ornato di libri da quattro lati e adobbato con molta leggiadria. Mi fece sedere sopra un sofá, dove pur egli sedette; e, per la mano stretto tenendomi, parlommi cosi: — Vi ringrazio, cortese giovine, del favore che, visitandomi, oggi mi fate, e desidero, se è possibile, che la visita vostra torni ad entrambi gradevole. — Voleva rispondere al suo complimento, ma egli me lo impedí, pregandomi d’ascoltarlo in silenzio e ricominciando in tal modo:

— Io sono assai vecchio, come bene vedete. Ho giá compiuto pochi di fa l’anno settantottesimo della mia vita. Seguendo l’ordine naturale delle cose, non mi rimane piú lungo tempo da vivere; ma, prima di lasciar questo mondo, vorrei pur dare l’ultima mano ad un’opera, in cui da molti anni in qua tutte le mie cure e sollecitudini sono ristrette. Su voi ho gittati gli occhi pel compimento di tal lavoro.

— Su me?

— Si, su voi: ma non m’interrompete. Il mio stato, se si eccettui il peso degli anni e la ansietá del mio core in si fatto suo desiderio, è, quanto può esserlo, felice. Non vi formate un’idea di quello dai due soldi al Ridotto chiestivi e dall’apparenza di questa casa. Io son ricco, son sano di mente e di corpo, e non ho né debili né rimorsi. E, perché voglio che di tutto siate informato, prima che di niente decidiate, vi dirò quel ch’era in altri tempi e quel ch’ora sono.

Livorno è la patria mia. Mio padre, ch’era un ricco negoziante di quella cittá, mori e lasciommi all’etá di ventidue anni unico erede della considerabile facoltá di cinquantamila scudi. Io aveva avuto fin allora da lui, che prudente e benevolo padre era, un’ottima educazione. Ho fatto i miei studi nel collegio piú riputato di Firenze. Pensava di darmi per mio diporto alla medicina; ma la necessitá di proseguire il tralfico