Pagina:Da Ponte, Lorenzo – Memorie, Vol. I, 1918 – BEIC 1797111.djvu/65

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delle assemblee e delle mense (0. Il sonetto piaceva, e questo aumentava la rabbia e la collera di que’ signori. Le donne, che amavano e me ed il Pisani, a dispetto delle toghe, de’ perrucconi e dell’aristocratico fumo de’ lor mariti, l’aveano imparato a memoria, lo declamavano per diporto e, tra gli scrosci d’un riso oltraggiante, ne ripetevano i tratti piccanti a quelli che piú m dovevano sentirsi punti.

Si pensò allora di batter la sella, giacché non si poteva il cavallo. Si cercarono, e si trovarono facilmente, accuse ed accusatori. Uno scellerato, che praticava in una certa casa dov’io mi trovava talvolta, s’ofTerse di portar varie accuse contra me al magistrato della Bestemmia. Mi accusò d’aver mangiato prosciutto in un venerdí (egli ne avea mangiato con me!) e di non essere andato alla chiesa varie domeniche. Costui non era stato a messa in tutta la sua vita ! Queste due accuse le seppi dallo stesso personaggio che presiedeva a quel tribunale, e che fu il primo a consigliarmi di lasciar sul fatto Venezia. — Se queste accuse non bastano — dicevami quel signore, che assai m’amava, — ne troveranno dell’altre. Vi voglion reo, e reo vi proveranno. — Credettero allora gli amici e i parenti miei che la mia libertá, e forse la mia vita, fosse in pericolo. Il nobiluomo Giovanni da Lezze, nella cui casa viveva il fratello mio in carattere di secretano e piú d’amico, voleva ch’io mi ritirassi a una sua campagna, dove mi offriva un sicuro asilo, finché dileguavasi il turbine. Ma io non poteva piú amar un paese si ingiusto e col Pisani e con me, si cieco ne’ suoi veri interessi e si vicino alla sua dissoluzione. Risolsi dunque di lasciar per sempre Vinegia. Andai a trovare i miei tre protettori e pochi altri amici, che colle lagrime agli occhi udirono ed approvarono la mia risoluzione. Abbandonai dunque l’ingrata patria ed andai a Gorizia. (i) Chi conobbe il carattere della veneta aristocrazia può imaginare lo strepito che fece questo sonetto.