Pagina:Da Ponte, Lorenzo – Memorie, Vol. I, 1918 – BEIC 1797111.djvu/70

Da Wikisource.
d’una giovinetta inglese, che poi sposa — Torna a Vienna per avere la grazia — Buoni uffizi del Casti — Il nuovo imperatore, Francesco, riconosce la sua innocenza — Una visita al nuovo poeta teatrale Giovanni Bertati — Ritorno a Trieste]


Gorizia è una gentile, antica e nobile cittá del Friuli tedesco, situata sulle rive del Lisonzo e distante poche miglia (credo dodici) dal Friuli veneto. Vi arrivai il primo di settembre dell’anno 1777, prima cioè d’esser giunto al ventinovesimo della vita. Non conoscendo io alcuno in quella cittá, non avendo meco portato lettere per alcuno, andai a dirittura alla prima locanda che trovai, portando un fardelletto sotto il braccio, che conteneva parte di un abito, poca biancheria, un Orazietto (che portai con me piú di trenta anni, perdei poscia a Londra, e ritrovai qualche tempo fa a Filadelfia), un Dante con delle note fatte da me e un vecchio Petrarca. Questo equipaggio non ispaventò la locandiera. Appena entrai nella locanda mi venne incontra, mi diede un’occhiatina espressiva, che mi disse quanto poi nacque tra noi e mi menò in una buona camera.

Questa donna era molto bella, giovane, fresca, e parea sopra ogni creder vivace. Era vestita alla foggia tedesca: avea una cuffietta a trine d’oro sul capo; una collana di catenella finissima di Venezia le cingea almen trenta volte un collo ritondo e piú candido d’alabastro, e, scendendo in crescenti giri, cadeva fin al bel seno, che vezzosamente in parte copriva; un giubbetto ben attilato le stringea le tornite membra con lasciva eleganza ; ed una calzettina di seta, che terminava in due scarpette color di rosa, mostravan al cupido sguardo la forma ammirabile di un piccolissimo piede. Non erano ancora suonate le sei della sera; ma, come io non aveva preso tutto quel giorno che qualche bicchier di vino e un poco di pane, le chiesi da cena. Per mia disgrazia non parlava che tedesco o cragnolino, ed io non capia una parola di quello ch’ella diceva a me, né ella di quel ch’io a lei.

Cominciai a farle dei cenni colle mani, colla bocca, co’ denti, ch’ella prendeva, quanto mi parve, per complimenti amorosi.