Pagina:Da Ponte, Lorenzo – Memorie, Vol. II, 1918 – BEIC 1797684.djvu/109

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per molti anni gli studi, le cure e le lodi vostre, che rese a voi noto e forse non discaro il mio nome, e che m’ottiene il dolce trionfo di veder ora il mio povero tetto da tanti personaggi illustri, da tanti amici cortesi e da tanti affezionati allievi onorato. Pieno, siccome io sono, del nobile soggetto di cui intendo trattare, caldo del desiderio di piacervi, di rinfiammare ed accrescer Paffetto per le lettere italiane in quelli che ne conoscono i pregi, e di crearlo efficacemente in quelli che ancora non li conoscono; da qual punto cominciar deggio il mio ragionamento, su qual base fondarlo, e per quai mezzi poi sostenerlo, onde ottenere l’oggetto per cui vi parlo? Deggio tentar di pruovare coll’autoritá de’ piú famosi filosofi la superioritá della favella italiana su tutte le moderne? il suo poter vantarsi rivale delle piú antiche? la sua anzianitá nell’arti, nelle scienze, in ogni ramo, oso dire, dell’umano sapere, per novitá o perfezionamento d’invenzioni, per diversitá di scoperte, per utilitá, per grandezza, per forza di raziocinio ne’ suoi scrittori, o per grazia, per melodia, per varietá, per purezza di sermone e di stile? Deggio vittoriosamente difenderla contra gli assalti degli stranieri, o deggio imitare quel mercadante d’oro e di gemme, che si contenta di porre in vista le sue ricchezze, sicuro d’allettare gli spettatori colla lor luce a farne sollecito acquisto? Voi, voi, mie carissime allieve, che, di sangue piú vivido, di fibre piú sensibili e di spiriti forse piú delicati, io vidi tanto sovente arder, gelar, languir, fremer, gioire alla lettura de’ nostri autori ; voi facilmente potete intendere e dire quanto agevole mi sarebbe abbagliare, innamorare, stordire, ofTrendo de’saggi d’incomparabile grandezza, sublimitá, originalitá nel poema di Dante; di soavitá, di dolcezza ineffabile ne’versi che immortalarono Laura; di gentilezza, di puritá, di eloquenza nel piú leggiadro e brillante di tutti i novellatori; di fantasia, di vivacitá impareggiabile nell’antonomasticamente «divino» Ariosto; di maestosa epica magnificenza nella tromba del gran Torquato; di beltá pastorale, d’inarrivabile