Pagina:Da Ponte, Lorenzo – Memorie, Vol. II, 1918 – BEIC 1797684.djvu/17

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eretto da me nella propria mia casa la Mirra del grande Alfieri: avemmo per nostri spettatori cencinquanta persone, iniziate in tre soli anni da me nella favella italiana, e non è facile descrivere il diletto e l’approvazione generale a quella divina rappresentazione. Fui obbligato ripeterla la sera seguente, e ciò fu con maggior applauso e a maggior numero di spettatori. Con tutto il vantaggio, con tutto il piacere che questi nobili ed innocenti esercizi producevano, non mi venne fatto da otto anni in qua di rinnovellarli nella cittá di New-York, dove, né so per quai stelle maligne, li mise in disuso e in dimenticanza la mia assenza di sei a sette anni.

Molte furono le cagioni che ritardarono i progressi della nostra favella, da quel tempo in poi, in Nova-Iorca non solo, ma quasi in tutta l’America. Tra queste cagioni, a giudizio mio, non è forse l’ultima un tal pregiudizio. Lo chiamo francamente cosí, perché gli ascetici piú rigorosi li propongono fino agli alunni de’ seminari e a’ monacali cenobi; e Maria Teresa, principessa che non peccò certamente contra la santitá della religione o contra i doveri della modestia, non arrossi nell’udire le proprie figlie ripetere sulle scene i precetti della morale ne’ purissimi versi del Metastasio, e dipingere con vezzo donnesco le vicende e i capricci della fortuna, e qualche volta ancora la filosofia e le dolcézze di un amor virtuoso. La cosa dunque è innocente e lodevole in se stessa. Ma noi critichiamo sovente negli altri quello che noi non sappiamo fare, cercando cosí di coprire la nostra ignoranza col manto di una virtú. Una spiritosissima damigella, che stordita aveva la cittá tutta colla recita d’un mio dramma, criticavasi ne’ crocchi privati dall’altre donne, che correvano alle sue recitazioni. Una prodigiosa affluenza d’allievi m’avrebbe dati però mezzi sufficienti a educare e mantener con decoro la mia famiglia, s’io non avessi avuto sempre la mala sorte di dar di cozzo in certe venefiche sanguisughe, che vanno in traccia de’ buoni per succhiar il lor sangue e rimunerarli poi col disprezzo, colla critica e spesso ancora colla