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Pagina:Dalle dita al calcolatore.djvu/153

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9. il posto vuoto 131

La diffusione del nuovo sistema indiano è iniziata già due-tre secoli prima di queste date. Vi sono testimonianze precise in proposito.

In seguito alla chiusura delle scuole filosofiche di Atene, un gruppo di studiosi greci si trasferisce in Mesopotamia e vi fonda delle scuole. Probabilmente, essi attribuiscono ogni merito ai pensatori connazionali. Ciò provoca la reazione sdegnata dell’abate Severo Seboct, matematico e astronomo. Questi ricorda loro, per iscritto, che i Greci hanno imparato l’astronomia proprio dai Caldei (Babilonesi), e che in astronomia e in matematica le scoperte più acute sono dovute agli Indiani; così accenna ai loro metodi di calcolo con “nove cifre”. È l’anno 662 d.C. Alcuni studiosi si appigliano alla menzione “nove cifre” per negare che gli Indiani conoscano già da allora l’uso dello zero. Invece si è visto che anche Baskara parla di nove cifre, pur usando abbondantemente lo zero. Anche gli autori arabi riconoscono agli Indiani il merito dell’invenzione delle cifre. In un manualetto del 1667 si parla di “diece caratteri differenti l’uno dal altro quali sono 1.2.3.4.5.6.7.8.9.0. delli quali li primi 9 sono significativi, ed decimo cioè il 0. per se niente significa” (15a). Leonardo Fibonacci, nel Liber Abbaci, parla di nove figure e dello zero. Risulta evidente il diverso modo di considerare le nove cifre e lo zero; perciò non si può sostenere che il Seboct ignori quest’ultimo: semplicemente non lo considera una cifra alla stregua delle altre.

Un’altra autorevole testimonianza circa l’antichità e la diffusione delle cifre indiane proviene dalla Cina. Se ne parla in una grande opera di astronomia pubblicata nel 718 d.C.: “Allorché l’una o l’altra delle nove cifre raggiunge la decina, viene iscritta in una colonna spostata più avanti e ogni volta che in una colonna appare uno spazio vuoto, viene messo un punto per simbolizzarlo” (4b). Un dotto israelita di origine spagnola, vissuto nel