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2. popoli “primitivi” 11

la temperatura notturna scende a 8-10 gradi. Durante le piogge spuntano fiori e crescono erbe alte, poi tutto si dissecca: la terra riarsa e la sabbia riprendono il sopravvento.

Durante la stagione delle piogge, i Nambikwara si stabiliscono sulle alture nei pressi di un fiume e vi costruiscono capanne grossolane; poi dissodano piccoli spiazzi giù in basso, nella foresta-galleria, e li utilizzano come orti per coltivare manioca, tabacco, fagioli, cotone, arachidi e zucche; i prodotti vengono in parte serbati.

Durante la stagione secca il gruppo si disintegra e migra a gruppetti, formati da un numero ridotto e variabile di individui (da 4 a 40). “Errano attraverso la savana, alla ricerca di selvaggina, di animaletti come larve, ragni, cavallette, roditori, serpenti, lucertole... frutti, semi, radici” 1b. I ripari provvisori “sono costituiti da palme o da rami fissati in semicerchio nella sabbia e legati in cima. È l’epoca in cui la ricerca alimentare assorbe tutte le attività” 1c.

La descrizione della vita di questa popolazione può far comprendere meglio almeno una parte delle difficoltà incontrate dai nostri antenati. E si deve anche tener presente che questo non è il “livello zero” dell’umanità. È fuori dubbio, però, che una popolazione perennemente afflitta dalla fame, perseguitata dal clima, decimata periodicamente dalle epidemie e dalle incursioni nemiche, non ha ampi spazi per elaborazioni culturali; anzi, a causa delle decimazioni, rischia di veder vanificati in poche ore i progressi realizzati nel corso di varie generazioni.

Lévi-Strauss accerta che questa popolazione, nei suoi vari dialetti, possiede con sicurezza nomi per i numeri 1 e 2, e un termine per indicare “molti”. Componendo i suddetti termini, o in altri modi, essi riescono a formare nomi di numeri fino a otto.

Le ricerche etnologiche condotte presso altre popolazioni primitive, verso la fine del secolo scorso, con-