Pagina:Dandolo - La Signora di Monza e le streghe del Tirolo, 1855.djvu/26

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vuol afferrare la tavola che può condurlo in salvo sulla riva, deve pure allargare il pugno e abbandonar l’alghe che avea prese per una rabbia d’istinto.

» Poco dopo la professione Gertrude era stata fatta maestra dell’educande: ora pensate come doveano stare quelle giovinette sotto una tal disciplina! Le sue antiche confidenti erano tutte uscite; ma lei serbava vive tutte le passioni di quel tempo, e in un modo, o in un altro le allieve dovevano portarne il peso. Quando le veniva in mente che molte di loro erano destinate a vivere in quel mondo dal quale essa era esclusa per sempre, provava contro quelle poverine un astio, un desiderio quasi di vendetta; e le teneva sotto, le bistrattava, faceva loro scontare anticipatamente i piaceri che avrebber goduti un giorno...

» ... Fra le altre distinzioni e privilegi che le erano stati concessi, per compensarla di non poter essere badessa, c’era anche quello di stare in un quartiere a parte. Quel lato del monastero era contiguo ad una casa abitata da un giovine, scellerato di professione, uno de’ tanti che in que’ tempi, co’ loro sgherri, e con l’alleanze d’altri scellerati, potevano, sin ad un certo segno, ridersi della forza pubblica e delle leggi. Il nostro manoscritto lo nomina Egidio senza parlar di casato. Costui da una sua finestrina, che dominava un cortiletto di quel quartiere, avendo veduta Gertrude qualche volta passare, o girandolar lì per ozio, allettato, anzichè atterrito dai pericoli e dall’empietà della impresa, un giorno osò rivolgerle il discorso: la sventurata rispose.

» In que’ primi momenti provò una contentezza non ischietta al certo, ma viva. Nel vuoto uggioso dell’animo suo s’era venuta a infondere una occupazione forte, continua, e, direi quasi, una vita potente: ma quella contentezza era simile alla bevanda ristorativa che la crudeltà ingegnosa degli antichi mesceva al condannato per dargli