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sopra d’una cassa; e questo si ripetè più volte. Talvolta
io entrava in collera pregando Dio che mi ajutasse: talvolta mi pareva che fossi levata a forza per andarlo a
vedere: talvolta in sentirmi spinta da questa tentazione
mi stracciava i capegli: pensai fino di ammazzarmi. Le
quai cose tutte credo mi avvenissero per opera diabolica, per malefizi fattimi: ho conosciuto dopo ciò esser
vero; perchè, essendo andata nel detto parlatorio a ragionare coll'Osio, esso, sotto pretesto di cose sante, mi
fece baciare e toccar colla lingua una cosa legata in oro,
che poi mi confessò ch’era calamita bianca; e ritengo
che l’Arrigone ne fosse partecipe; il qual, dopo avermi
perseguitata con lettere che arrivai un giorno a stracciargli sul viso, cominciò a parlare a suor Candida, e la
indusse ad andar di notte in parlatorio a conversare con
lui; ond’io, che ne fui informata, ne feci una solenne bravata al Domenico nostro fattore che portava le lettere,
e lo minacciai di farlo metter prigione, e gastigare dal
signor Cardinale; e per questa ed altre cause feci licenziare detto fattore; onde, sentendo da lui l’Arrigone come
il fatto fosse seguito, mi portò odio grandissimo.
Interrogata quidquam aliud secutum fuerit inter ipsam et Osium post scriptas litteras per dies et menses invicem;
respondit:
Interrogata che cos’altro avvenisse tra lei e l’Osio dopo quella corrispondenza di lettere durata giorni e mesi:
rispose:
» L’Osio mi mandò a donare un pajo di guanti di seta bianca, nei quali era una lettera che trattava tutta di santità e purità; mi mandò anche un crocifisso d’argento, che gli rimandai per mano di Giuseppe Pesen, ch’era quel che portava le ambasciate; ma mi obbligò con minacce a riprenderlo. Di poi seguitassimo ad andare a ragionar insieme al parlatorio, dove si discorreva di diversi casi, sempre di cose di onestà. Una volta mi domandò per grazia, sotto pretesto che dovesse essere