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«Ti ringrazio» disse la signora «ti ringrazio.

Aperse la bocca ad altre parole, le richiamò con violenza al petto.

«Prego Dio» aggiunse dopo un breve silenzio «che mi accordi il favore d’esserti a carico il meno possibile. È Dio già che mi ha ispirato di mettermi a Lugano. Ho trovato proprio l’aria che mi ucciderà presto.

Daniele ebbe un bel dirle e ridirle che poteva cercarsi fra le Alpi e il Mare un’aria più benigna per i suoi nervi. Ella ripeteva, sempre più compunta, sempre più rassegnata, lo stesso tragico ritornello.

Se aveva sognato dopo tante vicende di tempeste e di sereno, rallegrarsi lo squallido pomeriggio con un raggio di sole, tramontar dignitosamente e placidamente nelle sale di Casa Cortis, sognava uno stolto sogno, la signora; e metteva pietà quel suo battere e ribattere di soppiatto, con volgare artificio, a una porta chiusa, sorda e muta.

Più tardi si parlò d’affari giù nel salotto terreno. Daniele volle saper l’ammontare dei debiti di sua madre e non fu così facile, anche perchè, secondo lei, neppure un quarto s’era veduto in casa della roba che i bottegai bugiardi avevano scritta. Intervenne, per fortuna di costoro, la Barbara, che aveva memoria migliore, e dopo un lungo battibecco ad ogni partita, ad ogni cifra, tra padrona e serva, Daniele potè conoscere, presso a poco, la verità.

Rimasto solo con sua madre le annunciò che sarebbe partito all’indomani e che fra pochi giorni le avrebbe mandato il denaro e fatto conoscere il modo in cui provvederebbe, per l’avvenire, alla sua esistenza. La signora Cortis gli chiese quando lo avrebbe riveduto. Questo, Daniele non lo poteva dire. Dipendeva