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oramai le compariva commedia nella vita, tutto le compariva falso, facce, parole ed opere umane. E il dell’altare, non poteva considerarsi un «» da commedia?

A quest’idea il suo sangue insorgeva. Mai mai! Nessun sentimento, neppure il religioso, parlava così forte in lei come la fiera lealtà. Non credeva, del resto, nella propria religione; sua madre era sempre andata troppo a messa, e suo zio troppo poco. Aveva solo una triste fede austera in Dio, una fede che s’interdiceva, come impuro e indegno, ogni desiderio di premio, di felicità personale, sia nella presente vita che nella ventura. E talora questa stessa ultima luce pareva mancarle. Anche lì ai Cappuccini, quando avrebbe voluto pregar con fervore, chiedere aiuto a Dio contro sè stessa, le tornava viva nel cuore una sinistra impressione riportata in quella chiesa, anni addietro. Un laico le aveva fatto vedere le orribili cappelle mortuarie senza troppo commuoverla; poi, in chiesa le aveva detto placidamente, con la sua faccia marmorea: «Sotto questa pietra è sepolto il cardinale Barberini, fondatore del tempio. Qui signora; veda la iscrizione: — hic jacet pulvis, cinis et nihil — che vuol dire — polvere, cenere e niente.

Pulvis, cinis et nihil. Elena aveva guardato con stupore e paura le parole incise sulla lapide sepolcrale, come se venissero su dal mondo dei morti, a dire il triste mistero dell’essere umano, pulvis et nihil, a negare lo spirito; e l’uomo dalla faccia marmorea le era apparso il sacerdote di una tragica religione della morte e del niente. A Roma ella era spesso assalita da questi miasmi di scetticismo deso-