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gli affari del barone 153


lato; li sentiva nelle sparse rovine di una fede morta, nel fasto invecchiato di un’altra fede inferma, nella campagna che le cinge entrambe di silenzio e di solitudine.

La seconda sera dopo il suo arrivo andò in carrozza da Loescher a pigliare le Mémoires d’outre tombe, e vi fu veduta dal senatore Clenezzi di Bergamo, un vivace vecchietto che l’avrebbe adorata ginocchioni per la sua bellezza, per il suo ingegno e perchè non gl’infliggeva mai, rara avis, nè biglietti di concerti, nè associazioni a opere di autori deputati. Non sapeva che Elena fosse a Roma. Le baciò la mano con una commozione insolita e non rifiniva di dire «cara donna Elena, cara donna Elena!» tanto che il commesso di Loescher, ritto lì con il Châteaubriand in mano, sorrideva. Elena gli disse, tornando alla sua carrozza, che credeva fermarsi ancora qualche giorno prima di andare ai bagni e che sperava rivederlo.

«Alle Quattro Fontane?» domandò il senatore.

«No, al Bristol.

«A che ora non si trova suo marito?

Elena si mise a ridere.

«Io non lo vedo mai» diss’ella. «Venga quando vuole. Perchè ha paura di trovar mio marito? Si sono bisticciati?

«Non è questo» rispose il vecchietto.

«Allora?

Quegli l’aiutò a salire in carrozza.

«Son proprio così vecchio?» diss’egli. «Lei mi dà una coltellata, ma vengo egualmente, sa.

«Va bene» rispose Elena sorridendo. «Venga, e se c’è ancora qui qualcuno dei nostri amici, me lo