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178 | daniele cortis |
onori, nè ricchezze, e che si vorrebbero lasciare in abbandono da questi piccini ben pasciuti liberi pensatori della commissione del bilancio. Non li ho mica chiamati così, sai, alla Camera; li ho turibolati, anzi. Dopo aver parlato dell’interesse italiano, pregai la loro alta sapienza di considerare se la nostra stessa splendida civiltà, che ora produce, all’infuori di ogni azione religiosa, tali luminosi Parlamenti, non abbia più bisogno di adoperare il Vangelo; nel qual caso ci sarebbe una certa convenienza di restituirlo all’Oriente che ce l’ha prestato, e quindi di aiutare quei frati a somministrarlo. Sull’atto il mio discorso non fece nè caldo nè freddo. Molti si congratularono meco e mi diedero ragione, ma dopo la seduta e fuori dell’aula. Posso però dire che fui ascoltato più delle altre due volte.
Una signora voleva persuadermi, giorni sono, di andare col Papa con lei e altri. Ho rifiutato, non potendovi andare col mio nome e la mia qualità di deputato al Parlamento. Mi accontento di visitare, quando posso, quell’imo Pontefice che dice il De profundis nella confessione di San Pietro, e che fa tanto pensare il mio cuore.
Ho bisogno di Dio, cara Elena; sento che la mia vita deve oramai rispondere vigorosamente alle opinioni che manifestai agli elettori, e per le quali combatterò. È anche un dovere politico: bisogna fare un pezzo solo con la propria bandiera se deve star salda.
Ciò vuol dire, cara, che le mie passioni non saranno un pericolo per alcuno. Quella che più temo è la collera; vedrò tuttavia di star in riga e di non schiaffeggiare la gente che se lo merita. Prega per