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a passi difficili 207


porsi dall’indomani mattina in poi a sua disposizione, e non si accettavano scuse politiche. Va bene tutto, diceva la contessa, ma passare da Roma dopo tanto tempo e non veder niente, questo no! L’indomani, sabato, non era giorno di villa Borghese? Almeno un corso!

Cortis, pieno il cuore di quella mano toltagli bruscamente, di quello sguardo scambiato poi, scese ad attendere il senatore Clenezzi in piazza della Minerva. Voleva prevenirlo, impedire che accompagnasse Elena al Senato. Non conveniva ch’ella vedesse il barone ora; prima lo voleva vedere lui, Cortis; lo voleva rassicurare su questa proroga disdetta dall’avvocato Boglietti. Clenezzi arrivò da via della Palombella zoppicando e borbottando tra sè. Quando vide Cortis da lontano affrettò il passo, cacciò fuori tanto d’occhi, si mise a fargli segni, lo assalì fremendo e sbuffando, con una serie di «ma non sa? ma non sa?», e appiccicatoglisi al braccio, gli raccontò che Di Santa Giulia era venuto da lui, furioso, con una lettera dell’avvocato in cui si disdicevano gli accordi presi. Lui, stupefatto, aveva risposto di non saperne nulla. L’altro, quel mascalzone, gli aveva replicato male. Allora Clenezzi s’era sentito ribollire il suo buon sangue bergamasco e gliele aveva suonate chiare, al bestione. Le mani e il mento gli tremavano ancora di collera; metteva dei rantoli da vecchio mastino irritato. Bel muso, però, anche quel signor Boglietti! Cos’era questo dire e disdire? Un gran buffone, per lo meno. E adesso, come fare a condur la baronessa in Senato? Cosa dirle?

Cortis lo acquietò. Bastava dire a Elena che suo