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Elena ritirò subito la mano. Non fu vero. I due si guardarono ancora pochi secondi. Allora la contessa entrò con la lettera spiegata. Non poteva vedere Elena in viso, ma vedeva Cortis. Si fermò di botto e gli disse:

«Ti senti male?

«No, zia.

La voce era ferma e forte.

«Sedici marzo» soggiunse la contessa porgendogli la lettera.

«Aspetta» rispose Cortis. «Io credo di avere scritto ad Elena il 14, e a lui fu parlato della dilazione almeno tre giorni dopo, perchè Clenezzi non lo potè vedere prima del 17. Dunque non ne sapeva niente quando scrisse quella lettera lì. Poi si sarà ammansato. Lo sa che siete alla Minerva?

«Sì, gli fu scritto.

«Allora, se oggi non si lascia vedere, Elena potrà cercar di lui domani. Intanto gli dovrebbe mandare un biglietto.

Così dicendo Cortis si voltò a sua cugina, che rispose sottovoce senza scomporsi:

«Vado al Senato fra un’ora, con Clenezzi.

«Benedetta!» esclamò la contessa. «Tu te la intendi con la gente così alla sorda e alla muta, e non parli neanche dopo! E noi si sta qui a consultare!

«Hai ragione, mamma. Ho creduto che l’avessi inteso. Sono una gran distratta.

Cortis partì pochi minuti dopo, malgrado sua zia volesse trattenerlo sino al ritorno di Clenezzi, per altre intelligenze da pigliare insieme. Ella finì con dirgli che per questa volta lo lasciava andare, ma che, se voleva il perdono de’ suoi peccati, doveva