Pagina:Daniele Cortis (Fogazzaro).djvu/297

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battaglie notturne 287


assegno vitalizio a patto che emigrasse per sempre in America. Di Santa Giulia, imbestialito all’idea che fosse tutto un lavoro di sua suocera e di sua moglie, non aveva neppur voluto ascoltare le proposte dell’avvocato che gli giurava di non conoscere neppur di vista la contessa Tarquinia nè sua figlia, di non tenere la proposta nè da loro nè dall’onorevole Cortis; era uscito furibondo dallo studio mentre l’altro gli gridava dietro che non accettava rifiuti, che la notte porterebbe consiglio, che sarebbe venuto da lui l’indomani mattina, per una risposta definitiva.

E ora camminava accigliato verso casa sua, a testa alta come sempre, con le mani in tasca, stringendo la chiave del cassettone dove teneva il revolver, provando quasi una truce compiacenza di aver finalmente toccato il fondo dell’abisso, sentendosi vicino a una uscita terribile, ma degna dell’orgoglio misto al suo sangue corrotto, ma liberatrice. Oramai era fuori del Senato. Gli pareva d’aver compiuto così un atto decisivo, di aver deposto l’abito, come tanti fanno, sulla riva del fiume, prima di sparire nelle acque per sempre. Questo era il cupo concetto fisso nel suo cuore. Per la mente gli passavano tante immaginazioni languide di cose e di persone già congiunte a lui da sentimenti di rabbia e di angoscia. Ieri ancora, poche ore prima, questi fantasmi di scadenze, di citazioni, di denunce, di usurai, di creditori di giuoco, di uscieri, di giudici lo stringevano, l’opprimevano; ora gli si eran fatti subitamente lontani; ora si sentiva come un largo attorno; il largo che la folla fa in cerchio a un cadavere. Passando la piazza di Pietra, ripensò con ira all’avvocato Boglietti