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Queste ultime parole Cortis le pronunciò a voce bassissima, quasi timidamente.

Ella gli sorrise in silenzio con gli occhi umidi velati. Poi sussurrò: «Devi tornar alla Camera, per far piacere a me. Devi dirigere il giornale.

«Oh, quello è bell’e andato» rispose Cortis.

Elena trasalì; la sua mano inerte strinse quella dell’amico.

«Come bell’e andato? Hai risposto?

Avevano scritto a Cortis da Roma, il giorno prima, chiedendogli i suoi intendimenti circa il nuovo giornale. Poichè non aveva potuto fare il discorso, contava egli che si uscisse subito? Oh che si aspettasse dell’altro? Persisteva nel proposito di tenere la direzione fino all’adunarsi della Camera nuova? O ragioni di salute ne lo impedivano?

«No» disse, «non ho risposto, ma oggi rispondo.

«No, no, rispondo io» esclamò Elena.

Cortis si mise a ridere.

«Sì, rispondo io, e tu sottoscrivi!

Gli occhi le lampeggiavano.

C’era nell’erba, accanto a lui, un piccolo volume giallognolo, un Shakespeare di Tauchnitz. Egli lo raccolse, si pose a sfogliarlo, dicendo: «Dov’è questo passo che hai sognato a Roma?

Elena gli strappò il libro.

«Promettimi» diss’ella, «promettimi che mi fai vedere la risposta.

«Questo sì; te lo prometto.

Il suo viso grave e la sua voce esprimevano una meraviglia quasi dolente.

«Hai paura di me?» proseguì. «Vuoi mandarmi via?