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passata, non volendone parlare neanche lei. Quindi stese la mano, sopra il muricciuolo di destra, al ciglio erboso del campo fiorito di anemoni; ne colse uno, glielo diede.

Stavano per arrivare al cancello del recinto Carrè, quando ne uscì il portalettere. Cortis lo chiamò, gli domandò se avesse recato lettere a casa Carrè.

«Per lei, signor deputato, sì; lei ne ha sempre un fascio. Per la contessa, nessuna; solo i giornali.

«E per me?» chiese Elena palpitando.

«No, signora, niente, per lei.

Un giorno ancora! Elena trattenne un lungo respiro di sollievo, ma strinse involontariamente con il proprio braccio quello di Cortis. Questi la guardò, fu sorpreso di vederle tanta contentezza negli occhi. Come mai, se desiderava aver notizie dello zio? Ella arrossì indovinando la sua sorpresa, si affrettò a dire che certo lo zio si divertiva molto, a Roma, non pensava più a loro; meglio così!

Entrarono, presero la scorciatoia che, ad un centinaio di passi dal cancello, taglia diritto allo studio di Elena e quindi alla villa.

«Entriamo?» disse Cortis, nel passar davanti allo studio.

Elena sorrise un poco, pensando ch’egli non si accorgeva quanto fossero fradici tutti e due, ma tuttavia non si oppose.

«Sedersi poi no!» disse ridendo, poichè fu entrata. «Il mio povero divano!

Cortis non ci aveva pensato. Si dolse della sua distrazione, voleva uscire. Ma ora ella non volle, per non parere di biasimarlo. Si poteva stare in piedi, non c’era nessuna fretta di andare a casa! E ado-