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attendendo che Clenezzi tornasse fuori, che la contessa venisse a chiamarli. La udirono ridere in sala, allontanandosi. Allora Elena afferrò la mano di Cortis.

«Hai visto?» diss’ella.

Era scuro, oramai, e dalla sala non potevano esser veduti. Cortis, per tutta risposta, sciolse con impeto la propria mano, ne cinse la spalla di lei, la piegò a sè.

«Non vado mica via, sai» sussurrò Elena con voce morente, cedendo. «Non vado, non posso. Sto qui vicino a te, sempre vicino a te, sempre.

Egli rallentò la stretta, non ebbe una parola, non un atto di gioia, non uno slancio d’affetto.

«Oh Signore!» esclamò Elena affannosamente, rialzandosi. «Parlami, Daniele; dimmi tu, allora, quel che devo fare. Tutto quello che tu vuoi, tutto, tutto! Io non posso più neppur pensare.

«Insomma» gridò la contessa Tarquinia, aprendo la porta della sala, «volete proprio pigliarvi un malanno?

«Veniamo subito, zia» rispose Cortis.

In quel momento entrava in sala, dalla parte opposta, la solita compagnia del tresette. La contessa si allontanò.

«Dunque?» disse Elena.

Cortis le strinse le mani silenziosamente.

«Adesso no» diss’egli poi. «Adesso non c’è tempo di parlare. Domattina, non è vero? Alle sei, in loggia.

Ella non rispose, tremava da capo a piedi.

«Vorrei dirti una cosa sola, adesso» riprese Cortis. E aggiunse a voce più bassa:

«Vi è Uno cui domandar consiglio prima che a me.