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le gambe accavalciate e le mani dietro la nuca. «Finalmente non c’è più seccature! Conta su, di questo danaro. Come hai conchiuso?

«Come volevi tu, ho concluso.

«Quindici?

Stavolta gli rispose il fischio furioso della locomotiva. Il treno mosse avanti.

«Quindici?» ripetè il barone.

Elena indugiò un momento a rispondere, tenne il viso allo sportello fino a che tutti i fanali e gli uffici illuminati della stazione le ebbero sfilato sugli occhi.

«No» diss’ella, ritraendo il capo. «Ho scelto diversamente.

«Cosa?» esclamò il barone rizzandosi di botto in faccia a sua moglie. «Cosa, scelto diversamente?

«Tu mi hai detto» rispose Elena con voce ferma e alta per vincere lo strepito del treno lanciato a corsa «che senza il danaro mi avresti portato in Sicilia e che non si sarebbe più parlato nè di Roma nè di Veneto. Hai detto chiaro che intendevi porre la questione a mio zio così: — o danaro, o Cefalù. — Bene, siccome si trattava di me, ho pensato che il diritto di scegliere era tutto mio e ho scelto Cefalù.

Durante questo discorso il barone s’era venuto mutando in viso. All’ultima parola le afferrò i ginocchi, si chinò tutto a lei.

«Dunque» diss’egli con i denti stretti «dunque vuoi dire che del danaro non hai parlato?

Elena non rispose nè si mosse.

«Non hai parlato?» replicò lui stringendole e scotendole i ginocchi con furore.

«No, certo, non ho parlato» diss’ella.