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La vita del villaggio 115

siasi rivolgimento; o perchè, non conoscendo da presso la vastità e la potenza delle forze ostili, non rappresentate nei villaggi che da un minimo numero e da elementi sparsi e tranquilli, ritenessero quasi fatalmente invulnerabile quella rocca dello Stato che di lontano appariva ai loro occhi enorme, coi merli nelle nubi.

Da nessuna parte, insomma, a nessun proposito, giungeva al suo spirito giovanile una scintilla di passione, la scossa d’un’idea, un stimolo qualunque agli studi. Tutto questo avrebbe rinvenuto nella lettura di quei libri nuovi e caldi che sono come aliti e pulsazioni della vita nazionale. Egli ne trovava bene i titoli e dei cenni nei giornali che scorreva, e ne aveva gran desiderio; ma erano a lui quello che sarebbero dei fagiani dorati a un cacciatore senz’arma; ciascuno di essi gli sarebbe costato due giorni di stipendio, ed egli avrebbe dovuto, per comprarli, assottigliare ancora quella magra porzione di lesso, che bastava appunto a tenerlo ritto. E ai pochi che avevan di quei libri, non avrebbe mai osato di chiederli, anche per timore che lo accusassero di trasandare i suoi studi didattici per letture di fantasia; nè sarebbe stata nuova l’accusa.

Il solo a cui avrebbe potuto ricorrere, anche per imparar qualche cosa conversando, don Pirotta, già malato dall’ottobre scorso, era andato sempre peggiorando verso la fine dell’anno scolastico. Il delegato non aveva che diciassette volumi scompagnati e mancanti di pagine della Storia universale del Segur, e non parlava mai altro che di maestrine.

Gli rimaneva la maestra Manca, dalla quale andava qualche volta; ma la sua intelligenza e la sua cultura erano chiuse da molti anni nello stretto cerchio della scuola, come il suo corpo di monaca nel suo vestito scuro e dimesso, e quando il discorso ne usciva, essa non faceva più che la parte di ascoltatrice. Il maestro era solo, e si trovava in una specie di stato d’inedia dell’anima in cui la sua mente, infiacchendosi, si lasciava andare a poco a poco a una fantasticaggine oziosa, che gli lasciava dentro la stanchezza del lavoro e la vanità e lo scontento d’un sogno. S’annoiava e s’inaspriva. C’era di fronte alla sua una finestra, alla quale stava affacciato per ore ed ore un vecchio