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L’istruzione obbligatoria 151

tutti gl’insegnanti, eccettuata la maestra Falbrizio. Il giovine osservò che, nel dire alla maestrina che avrebbe mandato a cambiare la corda della campana della scuola, le si avvicinò in modo sconveniente, quasi da toccarle il naso col naso; ed essa aveva, come molte donne, nel moversi, nel sorridere, nel parlare tutti gli atteggiamenti e gli accenti della voluttà, resi con una verosimiglianza, benchè un po’ smorzata, così fedele, che eccitava i sensi. Alla maestra Pezza chiese notizie della salute, e scosse il capo in atto di rammarico. Al Calvi domandò familiarmente: — Ebbene, ebbene, e questo nuovo sillabario? Siamo a buon punto? — E quegli, gesticolando, gli diede a bassa voce una spiegazione che non finiva più. Al Ratti strinse la mano, e ripetè la frase del suo programma: — Siamo intesi, una guerra a morte all’ignoranza: questa è la nostra bandiera: d’accordo su questo, andremo d’accordo su tutto.

E con queste parole sciolse l’adunanza.


L’ISTRUZIONE OBBLIGATORIA.


Il maestro capì alla prima che sotto a quel programma bellicoso del sindaco ci doveva essere parecchia ciarlataneria, come anche una non leggera provvigione di quella brutta cosa ch’egli voleva combattere a morte. Ma pensò che, se non altro, quel sindaco lì non gli sarebbe venuto a rompere il capo con la grammatica. Visitando la scuola, peraltro, egli vide che ci sarebbe stato, prima dell’ignoranza, un’altra grande nemica da combattere, ch’era la sudiceria. Le scuole maschili erano al pian terreno d’una vecchia casa addossata al monte, che avevan ridotta alla meglio a locale scolastico, buttando giù dei tramezzi: in una delle stanze del pian di sopra c’era la classe femminile superiore, e nell’altra, di là dal pianerottolo, ci stava l’inserviente comunale con sua moglie. Quello del Ratti era uno stanzone basso, rischiarato da due piccole finestre a inferriata, attraversato per mezzo da un lunghissimo tubo di stufa, col soffitto nero di fumo, e una parete segnata dall’unto, forse quadrilustre, delle teste degli