Pagina:De Amicis - Il romanzo d'un maestro, Treves, 1900.djvu/216

Da Wikisource.
208 Altarana

pida, come un’illuminazione istantanea, un balenìo degli occhi vivissino, col quale pareva che dicesse: — Ah sì, lo so! C’è anche l’amore nel mondo. Nessuno lo sentirebbe più di me! — e poi troncava netto il discorso, e ripigliava all’istante il viso di prima, come se col discorso ella avesse troncato ad un tempo e dimenticato affatto il pensiero. Parea che l’idea dell’amore balenasse alla sua mente come quella d’un altro mondo, d’un’esistenza maravigliosa e remota, della quale non si dovesse discorrere per non andar con la fantasia fuor della ragione e del vero. E così in tutti i discorsi di sentimento essa non si allontanava mai dalla realtà delle cose presenti, e in queste, dal concetto di qualche azione utile a far trionfare il suo sentimento fra gli uomini. Dalla sua pietà per l’infanzia usciva continuamente e pronta l’idea del rimedio dei mali, del castigo dei colpevoli, della lotta da combattere per imporre il bene. Tutte le sue commozioni erano rapide, come lo scatto d’una molla; un singhiozzo secco, una lacrima, un impeto di sdegno, e poi subito un’idea, un proposito, una risoluzione. Aveva ogni poco delle massime assolute: — Bisogna far questo, non si deve far quest’altro, — e si capiva che erano principî incrollabili nell’animo suo. Il gesto che aveva abituale nella concitazione, di stringere il suo pugno roseo e di dar dei piccoli colpi nervosi nella palma dell’altra mano, come sopra una macchinetta da bollo, era l’espressione perfetta della sua indole, buona e amorosa, ma fortissima, d’una fibra di ferro, che nessuna prepotenza avrebbe piegata, quando la sosteneva la ragione e la coscienza. Al maestro essa ricordava qualche volta la cugina; ma gli pareva che fosse più logica e più gagliarda di quella nella sua bontà; che, per esempio, non avrebbe firmata, come quella, la promessa d’andar via dal paese, a quel sedicente ispettore; gli pareva che avesse meno fantasia, ma più intelligenza, meno passione per le piccole cose, ma più per le grandi, e affetto più profondo e durevole. E la trovava tanto più bella, benchè non fosse grande la differenza! E oramai non chiamava più “amicizia„ il suo sentimento; perchè era arrivato a quel segno che non consente più illusioni, al soliloquio che esce in suoni distinti, all’apostrofe affettuosa diretta al fantasma, nel silenzio della propria camera, di notte,