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220 Altarana

dopo un secondo avvertimento del Consiglio scolastico, a rischio di incorrere alla fine in qualche smacco clamoroso. Ma lo credettero solamente gli ingenui, quelli che non capivano fino a che punto d’insensatezza potesse l’orgoglio offeso spinger sulla via delle prepotenze un tanghero salito dal lavatoio al seggio sindacale, forte d’ostinatezza e di quattrini, e reso temerario dalla sua stessa ignoranza. Il giorno che ricevette il decreto dell’annullamento, egli fu visto girar per il villaggio con faccia provocante, come se andasse a caccia dei suoi nemici, e fu inteso gridar nel caffè, nella bottega del tabaccaio e altrove, che si rideva del Consiglio scolastico e della Prefettura, che sarebbe ricorso al Consiglio di Stato, che se questo gli avesse dato torto, avrebbe fatto fare un’interpellanza al Parlamento dal deputato del Collegio, che se l’interpellanza fosse fallita, si sarebbe rivolto al Re; ma che in ogni modo non l’avrebbero avuta vinta le maestre, che “portano l’immoralità nei comuni„ e che ricorrono ai giornali per far gettare il ridicolo e la calunnia sulle autorità nominate alla Corona. E la scuola non fu aperta. Credendo la maestra che, soltanto per farle un ultimo dispetto, il sindaco non la volesse riaprire che col nuovo mese, aspettò. Il primo del mese, vedendo ancora chiusa la classe, indusse il maestro Calvi ad andar a chieder la chiave. Ma la chiave gli fu rifiutata. Ricorse allora al delegato scolastico, il quale, urlando per la gotta, le disse di lasciarlo in pace, che si sarebbe occupato dell’affare appena guarito, e avrebbero concertato insieme un nuovo ricorso al Consiglio. Insomma, si ritrovò nelle condizioni di prima.


LE ULTIME PROVE.


Ma un guaio peggiore di tutti questi venne a rendere le sue condizioni anche più tristi. Col nuovo anno le doveva esser pagato lo stipendio a bimestri posticipati. Non osando presentarsi il primo di marzo a chiedere il mandato al municipio, ella si fece animo e andò a pregare il segretario di farglielo avere. Il segretario,