Pagina:De Amicis - Il romanzo d'un maestro, Treves, 1900.djvu/229

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Le ultime prove 221

facendosi piccolo e scansando il suo sguardo, le balbettò che non aveva ricevuto ordini in proposito, la consigliò di lasciar che si “quetassero le cose,„ le fece comprendere, in una parola, che era cosa stabilita di non darle nulla. A quel colpo, per quanto la ragazza fosse forte, vacillò. Ma riprese animo subito. — Ma io — disse — anche se mi tengono per licenziata, ho diritto almeno allo stipendio per il mese in cui ho fatto scuola! Ma no, ho diritto a tutto! La scuola non l’ho chiusa io, il Consiglio scolastico m’ha reintegrata al mio posto! Ho mio padre a cui provvedere! Non si mette una maestra sulla strada in questa maniera! È una cosa inaudita! — Il segretario, addolorato davvero, s’appigliò al suo spediente solito di far la vittima: si prese il capo fra i pugni, invocò domineddio, si chiamò l’ultimo degli esseri umani, un uomo ridotto in una condizione da desiderar che gli si spalancasse la terra sotto i piedi. Visto che non n’avrebbe cavato nulla, la maestra fece un cor risoluto, e senza neppure sapere che cosa proprio sperasse, andò dall’esattore.

Dalle prime parole di questo indovinò l’influsso maligno della moglie, cugina del sindaco, la quale dalla resistenza di lei doveva esser stata ferita nell’orgoglio di famiglia. Quel viso barbuto da cacciator di cinghiali non le usò sgarbatezze: se ne sbarazzò con tre sole domande, ripetute flemmaticamente, alla fine d’ogni sua rimostranza. — Ma il mandato, signorina?... Ma il mandato, dico?... Ma che posso far io senza il mandato?... — Allora, presa da un impeto d’indignazione che le sconvolse il sangue, essa pensò di correr difilata dal sindaco, a intimargli di fare il debito suo con le più terribili parole che le fossero venute alla bocca, a dargli d’assassino e di ladro, a sputargli sul viso. Ma giunta a venti passi dalla casa comunale, lo vide fermo davanti alla porta a discorrere col segretario, fumando la pipa; lo vide voltarsi verso di lei e prendere un’impostatura trionfante; e a quella vista, ricordandosi della lascivia schifosa con cui le si era offerto, della rabbia ferina con cui l’aveva minacciata, della impudenza cinica con cui aveva mentito, decise di soffrir tutto piuttosto che l’umiliazione di ricomparirgli spontaneamente dinanzi; e con l’angoscia nel cuore, ma sorretta dalla