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12 L’ultimo anno ad Altarana

esami, nei quali egli s’aspettava dalle autorità qualche tiro; e poichè ora s’era messo di proposito al suo dovere e gli premeva di rimaner nel villaggio, si tenne in guardia. E il tiro fu tentato. Vennero agli esami verbali il sindaco, il soprintendente liquorista e altri tre consiglieri, e mentre nell’altra classe, per agevolare le risposte ai ragazzi, avevano lasciato far le domande al maestro, nella sua interrogarono essi medesimi, e in modo da lasciar trasparire chiarissimamente che s’eran preparati i quesiti a casa, e che avevan fatto il possibile per dar loro una forma difficile e insidiosa. Il più terribile fu il liquorista, il quale s’era armato fino ai denti d’interrogazioni a doppio taglio sul sistema decimale, e le lanciava d’in piedi, con un atto bellicoso, voltandosi ogni volta verso i colleghi, come per dire: — L’alunno è morto. — Il sindaco aveva delle domande di nomenclatura scritte sopra un foglietto, che consultava di nascosto. Il resultato di tutto questo fu che gli alunni, in generale, diedero un pessimo saggio di sè. La qual cosa, vedete che bizzarrie! fece sì che le autorità uscissero dalla scuola meno arcigne di come v’erano entrate, soddisfatte quasi d’una vittoria, contentandosi di mortificare il maestro con un silenzio profondo, gravido di minacce misteriose. Ma la ferma fede che aveva il giovane di rivalersi l’anno appresso, non gli fece quasi sentire l’amarezza di quella sconfitta.


Con suo gran piacere, frattanto, era arrivato con altri villeggianti l’avvocato Samis, e il giovane corse subito da lui, a raccontargli gli avvenimenti dell’anno, e in specie la storia della maestra. Qualche cosa egli ne sapeva; ma uditi che ebbe i particolari, uscì in parole violente: — Che canaglie, perdio! Ma si posson dare delle canaglie simili! Ma bisognerà dargli qualche lezione! — Egli era arrivato questa volta al villaggio irritato più che mai contro i suoi avversari per una delle solite cagioni futilissime; la quale, dopo averlo fatto sorridere a Torino, gli s’era ingigantita al pensiero lungo la via, e aveva finito per gravarlo all’arrivo come il carico d’un’offesa intollerabile. Gli era stato scritto a Torino che un esemplare d’una rivista scientifica milanese, contenente una recensione dell’ultimo