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34 Garasco

suo zio, quattro anni innanzi, per andare a Torino, e i giorni del viaggio non combinavano appuntino con quelli degli esami di patente di quell’anno. Di più erano state domandate informazioni, così alla larga, a un certo professore e ad alcune maestre del circondario, che avevan la patente della stessa data; ma nè quello nè queste si ricordavano d’averla veduta, nè agli esami in scritto nè ai verbali. E un’altra cosa da notarsi, nessuno aveva mai inteso una sillaba dalla sua bocca riguardo a quei benedetti esami, che pure per una ragazza dovevano essere stati un avvenimento importante. Come andava questa faccenda? C’era del losco. Sicuri proprio d’una birbonata non s’era ancora; ma c’era qualcheduno, tra i nemici dell’assessore, che continuava a investigare. Non sarebbe stato quello il primo caso che si fossero fabbricate delle patenti false al Provveditorato, per danaro. In ogni modo, quando si fosse accertata la cosa, sarebbe stato uno scandalo da doversi nascondere sotto terra chiunque avesse parentela con la famiglia.

Il giovine ne sapeva abbastanza. Tornò ancora una volta dall’assessore; lasciò languire la conversazione come per preparare zio e nipote a non rivederlo più per un pezzo, si congedò freddamente, e lanciata in su dalla strada una di quelle occhiate con cui si fa un crocione a una casa come a un affare fallito, se n’andò col proposito fermo di non ricomparirvi mai più.


L’EDUCAZIONE DEL CUORE.


Continuò a dedicarsi tutto alla scuola, e in particolar modo all’educazione morale dei suoi ragazzi. Non era venuto con alcuna idea preconcetta di severità o d’indulgenza: seguiva la sua natura, che lo tirava a educare e a farsi obbedire per via d’amorevolezza. E questo, in parte, gli riusciva. A poco a poco, era venuto scoprendo sotto quella rozzezza esteriore degli alunni le qualità buone dell’animo, e ciò che la rozzezza gli aveva da prima nascosto più d’ogni altra cosa, quel che di grazioso e d’amabile, che è nello spirito di