Pagina:De Amicis - Il romanzo d'un maestro, Treves, 1900.djvu/488

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226 Bossolano

suno poteva sperare oramai di inventare qualche cosa di più eloquentemente ironico e giusto di quella definizione: e da quindici giorni egli non usava più che quelle due parole, gridandole cento volte al caffè in mezzo al solito crocchio dei suonati, per metter la tremarella in corpo ai suonatori che sentivano. Diceva di voler scrivere sulle sue carte da visita: Tal dei tali, di professione suonatore, di condizione suonato. E rideva a crepapelle. E su questo soggetto s’aggirarono i suoi scherzi fino all’ultimo momento. — Forse — disse al Ratti — non ci rivedremo per un pezzo. E se è così, tanto meglio; vuol dire che ci rivedremo a cose finite. — E siccome considerava sempre il maestro come un compagno di congiura, benchè questi non avesse mai fatto esplicita adesione alle sue idee, così lo incaricò di salutare gli amici di Torino, senza dir quali, intendendo di dire tutti i vagheggiatori del gran crac, i nemici del baraccone, in una parola, i suonati. — Dica loro — gli disse — che siamo pronti anche noi, nei piccoli paesi, e che quando sarà il gran giorno, ci troveranno a suonare accanto a loro. Oh perdio.... se suoneremo!