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ciuta se si fosse limitata ad apportarmi uno dei soliti suoi ragionamenti intorno alle arti, ma avvedutomi che essa avea ben altro scopo, prontamente risposi che riguardo ai miei libri mai avea voluti consigli ed aiuti per non avere a fare delle vittime.
La mia dichiarazione, non si volle comprendere dall’amico, il quale cominciò a dire che col mio libro Salviamo l’Italia, mi era espresso in alcune parti vagamente e che, a dir vero, ero stato troppo indulgente verso la rivoluzione.
In secondo luogo, egli animandosi, affermava che io mi era mostrato deferente assai per una Dinastia che avea seguita la rivoluzione stessa.
Più aggiungeva, che nel desiderio manifestato per la conciliazione fra lo Stato o la Chiesa, io lasciava dei dubbi sul mio modo di pensare.
Avere io scritto a fine di bene, anzi averne egli la certezza, ma essere obbligato a fare la critica, perché, uomo avvisato resta salvato.
A questo panegirico, non sgomentai davvero, ma non sapendo se Don Luigi volesse scherzare o seriamente disapprovare il mio operato, fui per troncare l’intervista con la scusa di un appuntamento.
Ma poi dissi tra me: Io ho pensato con la mia testa, ho ponderato, ho scritto, ho corretto, dovrò gratuitamente accogliermi in buona pace la lezione poco conveniente?
L’ecclesiastico avea finito, ed io allora convinto