Pagina:De Amicis - La vita militare.djvu/238

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230 la sentinella.

bianca di neve, e rischiarata intorno intorno da quattro lunghe file di lampioni, laggiù accanto alla gran porta di quel palazzo principesco, alto, bruno, dalle forme colossali ed antiche, da tutte quell’ampie finestre illuminate; guardate là in quel casotto, quell’uomo imbacuccato, ritto, immobile come un simulacro di marmo; guardatelo. Egli da più ore è là, senza moto, senza parola, colla destra intirizzita sulla fredda canna del fucile, e i piedi nella neve, e l’occhio chinato e fisso, che par che noveri i larghi fiocchi che gli piovono intorno. Di tratto in tratto gli occhi gli si socchiudono, la testa gli s’inclina insensibilmente sull’omero; ma tosto un’interna voce lo ammonisce, ed egli risolleva vigorosamente la fronte ed apre e dilata gli occhi e li gira intorno più rapidi e più vigilanti, come per compensare la sua coscienza di quel momento di languore e d’inerzia. Guardatelo; tutti, anche i più poverelli, hanno un po’ di casa, un po’ di fuoco, un po’ di letto, tutti; egli non l’ha.

Questi pensieri io volgeva in mente una notte, sul cader di gennaio, essendo di guardia, con una quarantina di soldati, appunto in quella piazza e a quel palazzo. E me ne stava, così pensando, poco lunge dalla porta, misurando a passi lenti un breve tratto della piazza sgombro di neve, e volgendo a quando a quando gli occhi in su, alle finestre illuminate, per cui mi giungeva fioca all’orecchio un’armonia confusa di flauti e di violini, e un rumor sordo e pesante di passi mutati in cadenza sopra un vasto solaio. Poi guardava nell’ampio vestibolo gli smaglianti lampadari di cristallo, e i tappeti e i vasi di fiori sparsi sul pavimento marmoreo, e le pareti coperte d’arazzi e di allori; e sul dinanzi, fra me e la porta, un viavai di carrozze di gala, un vociar di cocchieri, e uno scendere e salire continuo d’uomini e di signore, e un accorrere in fretta agli sportelli, un