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durante il colèra del 1867. 333

il municipio si riordinò, ognuno riprese gli uffici e gli usi consueti, il paese mutò aspetto, e il Cangiano e i suoi soldati ritornarono a Sutèra accompagnati dalla benedizione di tutti. Anche a Sutèra infuriava il morbo, e anche là il Cangiano fece veri miracoli di carità e di coraggio. L’undici d’agosto la Giunta municipale della città lo acclamò unanimemente benemerito del paese, e gli espresse la gratitudine della cittadinanza con una lettera piena di entusiasmo e di affetto. Possano queste povere pagine far sì che nel cuor di molti, come nel mio, suoni caro e riverito il suo nome.

Ricordiamo qualche altro fatto e qualche altro nome.

Il sottotenente Livio Vivaldi comandava un distaccamento del 54º reggimento a Palazzo Adriano. Vi si sparse il colèra. Fuggì il sindaco, fuggirono i medici, i farmacisti, i preti; non restarono che i poveri. Il Vivaldi tenne luogo di tutti e provvide a tutto. Di giorno visitava gl’infermi, sollecitava le sepolture, faceva ripulire e disinfettare il paese; di notte dava la caccia ai malandrini che scorazzavano per le campagne. Fra l’altre volte, la sera del dieci luglio, mentre stava distribuendo del pane in una casa di poveri, gli si annunziò che a poca distanza dal paese s’era radunata una banda di malfattori. Corse alla caserma, prese con sè dieci soldati, uscì alla campagna, sorprese la banda, l’attaccò, fu ferito, continuò a combattere, la volse in fuga, n’uccise il capo, arrestò gli altri, tornò in paese e la mattina dopo ricominciò il suo ufficio di medico e di limosiniere.

A Gangi, nella provincia di Termini, scoppiò il colèra verso la metà di giugno. Mezza la popolazione fuggì. Quei che rimasero occultarono i morti e si chiusero nelle case per paura d’esser avvelenati. Nella notte dal ventisei al ventisette i più arditi si armarono e si die-