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334 l’esercito italiano

dero a percorrere il paese tirando fucilate alla cieca nelle finestre, nelle porte, e contro quanti incontravano. Accorsero i bersaglieri da Petralia Sottana, diedero la caccia per tutta la notte ai tumultuanti che si disperdevano e si riannodavano incessantemente, finchè, quetato il tumulto, entrarono a forza nelle case, vi trovarono tredici cadaveri insepolti, e li seppellirono di propria mano, minacciati e insidiati nella vita dalla moltitudine irata.

Era scoppiato il colèra a Menfi. Il popolo difettava di medici, di medicine, di danaro, di pane. Ventiquattro cadaveri giacevano insepolti da quarantott’ore. Era imminente una ribellione. Ne fu avvertito per dispaccio telegrafico il generale Medici. Il distaccamento di Sciacca ricevette immantinente l’ordine di recarsi a Menfi. Ventiquattr’ore dopo il generale riceveva questo dispaccio: — Giunto il distaccamento. Sepolti i morti. Ordine ristabilito. Medicine e viveri distribuiti. Provvisto all’amministrazione comunale. —

A Grammichele, essendo seguìte due morti di colèra, il popolo sospettò di avvelenamenti, s’armò, assalì i carabinieri, uno ne uccise, uno ne ferì mortalmente, gli altri costrinse a rinchiudersi nella caserma, e ve li tenne assediati tutta una notte tentando ad ogni momento di rovesciare le porte e di precipitarsi ad ucciderli. Accorsero da Caltagirone quaranta soldati del 9º reggimento di fanteria, comandati dal sottotenente Goi. Al loro primo apparire le bande armate si dispersero; ma, accortesi del picciol numero dei soldati, si riadunarono, mossero loro contro, gl’insultarono, gli minacciarono, gridando che volevano frugare negli zaini e impossessarsi dei veleni che v’eran dentro. La turba era in numero dieci volte maggiore dei soldati; stava per seguire una strage; fu chiesto nuovo soccorso a Caltagi-