Pagina:De Amicis - La vita militare.djvu/88

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80 il figlio del reggimento.

soldatini coloriti; e tutto ciò che ai soldati appartiene, armi, assise, galloni, pennacchi, ciondoli, ciarpe, tutto diventa oggetto dei nostri desiderii più ardenti, dei nostri sogni, delle nostre speranze più care; a tal segno da farci fermar nell’animo che a prezzo di qualunque sacrificio e malgrado qualunque contrarietà, appena giunti all’età voluta, ci arroleremo soldati; sì, sì, soldati, soldati, assolutamente, a qualunque costo; la mamma piangerà, il babbo manderà fuori quel certo vocione che tiene in serbo per le scappatelle più ardite: non importa; la è decisa, soldati.

E qui comincia la manìa delle armi; e cerca, e fruga, e rimugina, non vi sarà in casa tua una canna, un bastone, o una gamba di tavola rotta, che, risparmiata dalla lama del tuo temperino, non t’abbia a fare per molto o per poco il suo servizio di stocco o di daga o di fucile. Chi di noi non passò lunghe ore a cavalcioni d’una seggiola, col petto contro la spalliera, dimenando le gambe come per ispronare un cavallo, agitando in alto il manico d’una granata, e mandando fuori certe voci lente, profonde, solenni come d’un generale che comandi una divisione? Chi non si ricorda della prima sciabola che ci regalò lo zio o il compare o qualche ufficiale in riposo, vecchio amico di casa, il giorno del nostro nome, o in premio dell’esserci fatti onore alla scuola? E intendiamoci, veh! non mica di quelle solite sciabole di legno, che si fasciano di carta argentata, roba da ragazzi piccini che non serve neppure a uccidere una mosca; chè! proprio una sciabola vera, una vera lama, di quelle che si adoperano alla guerra.... Oh! la prima sciabola è una grande felicità.

E quelle belle mattinate di primavera, (che fanno uscir la voglia dei libri, come dice il Giusti, e mettono la smania nelle gambe) quando, seduti a tavolino, sba-