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rarsi, sorrideva impercettibilmente colla punta delle labbra, immobile, impassibile, sinistro come una statua della Perfidia.

La discussione durava da un pezzo, e pareva che non dovesse più finire, quando l’Ambasciatore la troncò con una risoluzione che fu accettata di buon grado dalle due parti. Chiamò Selam, che comparve sull’istante coi suoi grandi occhi neri spalancati, e gli ordinò di saltare a cavallo e andare di galoppo al villaggio dell’arabo, distante un’ora e mezzo da Alkazar, a chiedere informazioni agli abitanti intorno alle persone ed ai fatti. Il nero pensava: — Hanno paura di me: o mi sosterranno o non diran nulla. — L’arabo pensava invece, e con più ragione, che interrogati da un soldato d’un’Ambasciata, avrebbero avuto maggior coraggio di dire la verità.

Selam partì come una freccia; i due contendenti s’allontanarono, e non li rividi più. Seppi poi che gli abitanti del villaggio avevan tutti testimoniato in favore dell’arabo e a carico del nero, il quale, per sollecitazione dell’Ambasciatore, fu condannato a restituire alla sua vittima tutto il denaro che le aveva estorto.


In quel frattempo i servi e i soldati avevano piantato tutte le tende, i soliti infelici avevano portato la solita muna e qualche gruppo d’abi-