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caccia al cinghiale nella quale egli aveva rischiato la vita. Questo Hamed era, dopo Selam, il personaggio più notevole di tutta la cotegoria dei soldati, servi e palafrenieri. Era un arabo sui trent’anni, altissimo di statura, bruno, muscoloso, forte come un toro; ed aveva per contro un viso sbarbato, due occhi dolcissimi, un sorriso, una vocina, una grazia in tutti i movimenti, che facevano col suo corpo possente un contrasto singolarissimo. Portava un gran turbante bianco, una giacchettina azzurra e i calzoni alla zuava; parlava spagnuolo, sapeva far di tutto, piaceva a tutti, a segno che Selam, persino il glorioso Selam, n’era un tantino geloso. Gli altri pure, chi più chi meno, eran giovani belli, svegli e pieni di ossequiosa sollecitudine; tanto che quando un di noi, strada facendo, si voltava indietro, incontrava sempre tutti i loro occhioni che gli domandavano se gli occorresse qualcosa. — Peccato, — dicevo tra me, — che non ci assalti una banda di ladri, per poter vedere tutti questi lestofanti alla prova!


Dopo due ore di cammino cominciammo a incontrar qualcheduno. Il primo fu un nero a cavallo, il quale teneva in mano quel piccolo bastone segnato d’iscrizioni arabe, chiamato nella lingua del paese herrez, che i religiosi danno ai viaggiatori per preservarli dai ladri e