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Pagina:De Amicis - Marocco.djvu/177

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ben-auda 167


dalle malattie. Poi alcune vecchie cenciose, che portavano sulle spalle grossi fastelli di legna. Oh potenza del fanatismo! Curve com’erano, stanche, sfiatate, ebbero ancora la forza, passandoci accanto, di scagliarci una maledizione. Una mormorò: — Dio maledica quest’infedeli! — L’altra disse: — Dio ci salvi dagli spiriti maligni! — Dopo un’altr’ora di solitudine incontrammo un corriere a piedi; un povero arabo macilento, che portava le lettere in una borsa di cuoio, appesa a tracolla. Giunto davanti a noi si fermò per dire che veniva da Fez e che andava a Tangeri. L’Ambasciatore gli diede una lettera per Tangeri ed egli riprese il suo cammino a passo frettoloso.


Questo, e non altro, è il servizio postale del Marocco, e nessuna vita è più miserabile di quella che menano quei corrieri. Non mangiano, strada facendo, che un po’ di pane e qualche fico; non si fermano che poche ore della notte per dormire, con una corda legata al piede, alla quale appiccan fuoco prima di addormentarsi, per essere svegliati presto; camminano giorni interi senza trovare nè un albero, nè una goccia d’acqua; attraversano boschi infestati dai cignali, superano monti inaccessibili ai muli, passano i fiumi a nuoto, vanno di passo, di corsa, ruzzoloni giù per le chine,