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ma che ci sarebbe un inconveniente... ed è che si macchierebbero i bicchieri.... e forse anche la tavola.... e che in ogni modo la vista... l’odore.... e poi la novità della cosa....
— Ho capito, — rispose l’Ambasciatore; — non parliamone più.
Tutti i nostri volti presero un leggero color verde.
Finito il pranzo, l’Ambasciatore rimase a discorrere col Gran Vizir, e noi uscimmo dalla sala. Era buio e piovigginava. Nell’altra sala, in fondo al cortile, illuminata da una torcia, desinavano, seduti sul pavimento, il nostro caid, i suoi ufficiali e i segretari del Gran Vizir. A tutte le finestrine dei quattro muri rischiarate di dentro, facevano capolino donne e bambini, dei quali non apparivano che i contorni neri. Per una porta socchiusa del pian terreno si vedeva una sala illuminata splendidamente, dove erano sedute e sdraiate in cerchio, in atteggiamenti voluttuosi, le mogli e le concubine del gran vizir, indiademate come regine; ma velate leggermente dal fumo dei profumieri che ardevano ai loro piedi. Schiave e servi andavano e venivano fra la sala da pranzo e le cucine, attraversavano il cortile, entravano in certe porte, salivano e scendevano; saranno state cinquanta persone in movimento, e non si sentiva una voce, un passo, un fruscìo. Era una scena muta