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Pagina:De Amicis - Marocco.djvu/406

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minciavano a disperare, perchè più s’innoltravano, e più gli alberi si facevan fitti, più alti e più intricati i cespugli, le liane, i rovi, i ginepri; tanto che i cavalli e i cani non potevano più aprirsi la via. Un giorno, finalmente, mentre tutti e due passeggiavano scoraggiati e silenziosi per la foresta, un arabo accorse da lontano verso di loro e disse d’aver visto Arusi nascosto in mezzo ai giunchi, sulla riva d’un fiume, all’estremità della foresta. Il caid raccoglie in furia i suoi cavalieri, li divide in due drappelli e li sguinzaglia, un drappello a destra, l’altro a sinistra, verso il fiume. Dopo una lunga corsa, il caid per il primo vede da lontano, in mezzo ai giunchi, rizzarsi un fantasma, un uomo d’alta statura e d’aspetto terribile: Arusi. Si slanciano tutti verso quel punto, arrivano, girano, frugano, fiutano: Arusi non v’è più. Erano sulla riva del fiume. — Ha passato il fiume! grida il caid. Tutti si gettano nel fiume e raggiungono la riva opposta. La riva era segnata di alcune orme; tutti si mettono su quell’orme; ma dopo pochi passi, mancano. — s’è rigettato nel fiume, — grida il caid, — e andò a riuscir più lontano. — Subito i cavalieri si slanciano di galoppo lungo la riva. Nello stesso punto l’attenzione del caid è attirata da suoi tre cani, che si sono arrestati, fiutando, vicino a una pianta di giun-