Pagina:De Amicis - Marocco.djvu/457

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rono non so di dove due ragazzi di dieci o dodici anni, forse parenti dei soldati, armati anch’essi di bastoni; s’aggregarono, bastonatori volontarii, alla scorta, e cominciarono a menar botte così disperate, a uomini, a donne, ad asini, a muli, a vicini, a lontani, che i soldati stessi si videro costretti a raccomandar loro la moderazione. E ad ogni legnata, si voltavano tutti e due a guardare noi tre, come per consigliarci di prenderne atto per ricordarcene nel dare la mancia; e siccome noi ridevamo come matti, pigliavano il nostro riso come un incoraggiamento, e tiravan via a picchiare come anime perdute. Ora che seguirà? — dicevamo noi. — Uno scandalo! una rivoluzione! — Già i legnati brontolavano, qualcuno aveva alzato la mano sui due ragazzi, bisognava uscir di città immediatamente. Il Biseo, nondimeno, esitava ancora, quando, nel passare per una piazzetta piena di gente, un sasso colpì nella testa la mia mula e una carota rasentò la nuca dell’Ussi. Allora ci decidemmo a battere tutti e tre palma a palma, il segnale convenuto per la ritirata. Ma anche questo innocente segnale provocò un baccano. I soldati, per mostrarci che avevan capito, ci risposero battendo le mani; tutta la gente ch’era nella piazza, intendendo forse di canzonarci, si mise a battere; e intanto continuavano a piovere