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466 sul sebù


canali, e una bella collina coronata d’una tomba di santo dalla cupola verde. A un tiro di fucile dalle nostre tende v’era un gran duar circondato d’aloé e di fichi d’India. Al nostro passaggio, tutti gli abitanti saltaron fuori. Allora vedemmo quanto il governatore el-Abbassi era amato dal suo popolo. Vecchi cadenti, frotte di bimbi, uomini maturi, giovanetti, tutti correvano da lui a farsi mettere la mano sul capo, e se ne tornavano contenti, voltandosi indietro a guardarlo con un’espressione d’affetto e di gratitudine. La presenza però dell’amato Governatore non bastò a salvar noi dai soliti sguardi biechi e dai soliti improperi. Le donne, mezzo nascoste dietro alle siepi, spingevano con una mano uno dei loro figliuoletti a farsi benedire dal Governatore, coll’altra mano un altro figliuolo a dirci ch’eravamo dei cani. Vedemmo dei bimbi alti due palmi, tutti nudi, che appena si reggevano in piedi, venir verso di noi barcolloni, e mostrandoci il pugno grosso come una noce, gridare: — Maledetto il padre tuo! — E siccome avevano paura ad avanzarsi soli, si radunavano in sette o otto, e così stretti in un gruppo, che si sarebbe potuto portar tutto ritto sopra un vassoio, s’avanzavano con aria minacciosa fino a dieci passi dalle nostre mule a balbettare la loro insolenzina. Quanto ci divertimmo! Un gruppo, fra gli altri,