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86 alla francia.

forse l’Italia il prototipo della civiltà, l’avanguardia d’un’età nuova, il faro del mondo civilito ed incivilito? Non si usciva forse dai ginnasi e dai licei col profondo convincimento che in fatto di lettere, di scienza, d’arti, di armi, di coraggio, di ogni cosa ci lasciassimo addietro l’Europa? Ognuno di noi non era sinceramente persuaso e sicuro che ogni singolo Italiano dovesse infilzare con ogni colpo di baionetta una mezza dozzina di Croati? Gli Austriaci? Li abbiamo sconfitti a Goito. I Francesi? Li abbiamo battuti a Roma. I Russi? Li abbiamo vinti in Crimea. Gli Svizzeri? Li abbiamo sgominati a Castelfidardo. Il mondo intero? L’abbiamo dominato da Roma; Cesare e Bruto sono i nostri padri; in noi scorre il sangue dei vincitori del mondo; il nostro keppì è l’elmo di Scipio, e chi sa che un giorno non si ritorni a dettar legge da un capo all’altro del mondo!

E adesso non abbiamo ancora una folla di professorucoli di letteratura italiana che non sanno fare un discorso per distribuzione di premi senza levar l’Italia ai sette cieli e dir corna della Francia e del mondo?

Il soldato francese sente e comprende le cause nobili e giuste. Chi non ricorda il linguaggio ardito, affettuoso e gentile che ci parlavano nel cinquantanove, tutti, dal vecchio sergente della guardia all’imberbe coscritto del reggimento di fanteria? L’Italia! la libertà! Oh non c’era mica bisogno di spiegarglielo il perchè li avevano mandati a combattere con noi, non c’era nemmeno bisogno ch’essi ci dicessero che lo sapevano: bastava guardarli negli occhi. Venivano come ad un convegno di antichi amici, e ci ringraziavano d’averli chiamati. Entrando in Torino sotto una pioggia di fiori, fra due ali di popolo che stendeva le braccia per strapparli dalle file e serrarseli nel petto, in mezzo a due schiere di carrozze piene di signori che li