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114 la cupola di san pietro.

traccia di sè. Sotto quella del Borbone che dice: Re del regno delle due Sicilie, salì nella cupola ed entrò nella palla, si legge: Tale dei tali, allora caporale del genio, ha avuto l’onore di salutarla a Gaeta.

Oh, ecco una finestra, guardiamo giù. Mi corbelli? Siamo già oltre il tetto dei più alti palazzi. Si ripiglia la salita, si cammina altri dieci minuti, ecco una porta: si esce al cielo aperto. Eccoci sul tetto della chiesa: è una piazza d’armi. Si vede da una parte un edifizio rotondo, alto quanto una chiesa ordinaria; non è altro che una delle cupolette minori che fanno da stato maggiore alla principale. È grande e stupenda, ma nessuno la guarda; non s’ha tempo per guardare tutte le minuzie. Si corre al parapetto, si guarda nella piazza, è un formicaio. Si guardano le statue che sorgono in fila sul sommo della facciata: che moli! Piedi che non istanno sul tavolino dove scrivete; pieghe dei panni in cui si può nascondere un uomo; dita che paiono clave. V’è una chiave di San Pietro che a prima giunta si piglia per un’àncora di bastimento. I soldati scorrazzano da tutte le parti, chiamandosi e salutandosi dalla piazza al tetto, dal tetto alla cupola, ed esprimendosi la meraviglia con quel ridere allegro e quelle esclamazioni scherzose: — Che bagattella! — E chi vuol andare di qua, chi di là; si tirano, si spingono, si aggruppano, si sparpagliano, correndo, ridendo e chiacchierando, come i ragazzi nel cortile di un collegio, — “Bisogna farsi coraggio,” dice uno, “e salire, perchè se non si va in paradiso questa volta, non ci si va più.” — “Ma questa cupola par piccola,” ripeto al mio amico. E lui: “Guarda in cima.” L’ultimo terrazzino sotto la palla è pieno di soldati; o come mai si vedono così piccoli se son così vicini?

Su, alla cupola. Sali e gira e rigira, ecco una porta che dà sur una galleria; la galleria dà nell’interno della chiesa; mi affaccio, mi tiro indietro, ho paura che mi pigli la vertigine. “Guarda la sala del Con-