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120 preti e frati.


E non mancarono i preti che accolsero festevolmente i soldati. A Baccano un prete e un frate stettero a veder sfilare sei battaglioni di bersaglieri sulla porta del convento, sereni e ridenti ch’era un piacere a vederli. Tutti i soldati, passando, dicevano qualche cosa all’uno, all’altro.

“Si va a Roma, reverendo.”

“Dio v’accompagni!”

“Senti! È dei nostri!”

Il prete si mise una mano sul cuore.

— Viva! viva! si gridò dalle file. E il frate e il prete ringraziarono.

Non ho sentito mai, nè altri può affermare d’aver mai sentito, un soldato dire una parola sconveniente ad un prete. Scherzi, sì; ma urbanissimi, e condonabili sempre alla gaiezza del soldato. Se l’Unità Cattolica osservasse che è inurbanità il dirigere la parola a chi non si conosce, le si potrebbe rispondere che nessuno obbligava i preti a mettersi alle finestre o a piantarsi sull’uscio della casa parrocchiale quando i reggimenti passavano. Se vi stavano, vuol dire che ci si divertivano; non so se ci sarebbero stati quando fossero passati gli zuavi.

Nei primi due giorni non si videro in Roma nè preti nè frati, o almeno pochissimi. Ma non si può dire che stessero nascosti per timore: qual ragione di temere i nostri soldati a Roma più che nella provincia? Stavan chiusi, si capisce, per non aver a prendere parte, neanco come spettatori, alle dimostrazioni del popolo. Tuttavia, ripeto, alcuni se ne videro anche il primo giorno, e passavano in mezzo alle bandiere e alle grida, sicurissimamente, come in casa propria, senza esser nemmeno guardati. E sì che le vie di Roma, stando a quello che scrisse don Margotti, eran piene di facinorosi, di tigri assetate di sangue e di donne di mala vita, tutta gente, come diceva l’oste milanese della Luna piena, latina di bocca e latina di mano.