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138 | un’adunanza popolare nel colosseo. |
L’oratore, levando al cielo lo sguardo e la mano: — Io veggo gli archi del Colosseo popolarsi di arcani fantasmi....
Nuovo e più violento scoppio di disapprovazione e di protesta. — Alla questione! — Non volemo prediche! — Le prediche so’ finite! — Non abbiamo bisogni di lezioni!
L’oratore continua a parlare; ma la sua voce è soffocata dallo strepito della moltitudine.
Una voce stentorea si alza al di sopra di tutte le voci, e fa voltare tutte le faccie:
— La cosa è chiara! L’elenco no’ ce piace! Non volemo liberali del momento, non volemo liberali di occasione....
Applausi fragorosi.
— Volemo gente provata, patrioti schietti, che ce se veda chiaro nella vita loro!
Applausi fragorosi.
E la voce con nuovo e più formidabile sforzo: — Non volemo mercanti de campagna!
Terza salva d’applausi.
— Va’ a parlar tu! — Va’ sul pulpito! — Fa’ valere le nostre ragioni! — Va’! — Presto! — Su!
Il fortunato oratore, sollecitato e spinto da tutte le parti, chiamato dal Montecchi, eccitato dalle grida della gente lontana, si apre un varco tra la folla e si slancia verso la tribuna. Sbalzato da un suo spintone cinque o sei passi indietro, mi trovo in una corrente che move verso l’uscita, mi ci abbandono, e in pochi minuti, pésto, sudante e spossato, mi trovo fuori del Colosseo.
Ecco tutto quello ch’io vidi.
Stetti un momento là incerto tra il tornar dentro e l’andarmene, e poi presi un partito fra i due; salii sur un rialzo del terreno accanto all’arco di Costantino, e come soleva dirmi il mio amico Arbib, mi misi a fare della poesia inutile, guardando il Colosseo. — Le solite grida — pensavo — la solita confusione, la commedia solita delle radunanze popolari; ma che importa quello che vi si faccia e quello che vi si concluda? Sono