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l’inaugurazione della galleria delle alpi. | 203 |
Una parte dei convitati che rimasero a Bardonecchia durante la traversata della galleria ebbe agio di osservare una macchina perforatrice.
Si prova una strana sensazione alla vista di questa macchina tanto celebrata. Prima di averla veduta, s’inclina a immaginarla di mediocre grandezza: vedendola, pare enorme, ed ha veramente un aspetto imponente. Non ne saprei fare una descrizione: è una macchina complicata, di cui non si può dare un’idea senza scendere a molte particolarità. A un cenno, dato dal capo degli operai, vien data l’aria, le ruote si muovono, l’aria sibila, e la sbarra perforante s’immerge da centottanta a duecento volte in un minuto nella viva pietra, con un impeto prodigioso. Ad ogni colpo, l’aria si stende, e dopo aver dato la sua forza viva si rispande all’intorno con un soffio vigoroso. L’apparecchio produce uno strepito assordante; e questo strepito, e la rapidità del moto, e la rabbia, direi quasi, dei colpi, tutto il complesso, insomma, dello strumento e dell’azione ha qualche cosa di terribile; dà una scossa ai nervi ed al sangue, come se in qualche modo si partecipasse noi pure a quell’immane sforzo; il vigore, l’impeto della macchina diventa per un istante nostro; una parte di noi pare che si muova, si divincoli e frema in mezzo ai robusti ordigni del meraviglioso apparato. Gli operai spiano nel volto dei circostanti l’espressione della meraviglia, e guardano la macchina con occhio altero, e vi si appoggiano su con un atto di famigliarità rispettosa, come sopra una bella e superba fiera domata; e forse, in quel momento, molti degli uomini illustri che li contemplano, si senton piccini accanto a loro.
Verso le sette si ripartì per Torino.
Come nell’andare, così nel tornare, si vide a tutte le stazioni della strada ferrata una gran folla che sventolava bandiere e salutava il treno con fragorosi applausi.