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alla francia. 77


Per me è un tristo argomento di pensiero il maresciallo Mac-Mahon. La Fortuna ha veramente infami giuochi, come dice il Prati. Io m’immagino il ritorno del duca di Magenta a Parigi dopo la guerra del 1870, e lo confronto in cuor mio col ritorno ch’egli vi fece undici anni or sono dopo la guerra d’Italia. Tutto il corpo di spedizione sfilò sotto gli occhi dell’Imperatore; tutta Parigi era affollata, per la lunghezza di tre o quattro miglia, dalle due parti della strada dove i soldati dovevano passare; i corpi d’armata entrarono nella città ordinati e disposti, reggimento per reggimento, battaglione per battaglione, nello stesso modo che in guerra; ogni maresciallo precedeva il suo corpo. L’entusiasmo toccava il delirio; non si applaudiva, si mandavano grida di gioia inarticolate, come i ragazzi; si piangeva. Passò il Baraguay-d’Hilliers, col suo braccio monco, canuto e venerabile, e fu salutato con uno scoppio di evviva fragorosi. Passò il Canrobert, giovane, bello, colla sua lunga chioma ondeggiante, con quella sua aria di generale della repubblica, popolare e simpatico, e fu accolto anch’egli con vivissima espansione di entusiasmo. Passò il Niel, passarono parecchi altri generali di divisione e di brigata illustri e valorosi, e su questi, come sugli altri, fu versata una pioggia di fiori e di saluti. Ma quando comparve il maresciallo Mac-Mahon, l’antico soldato di Crimea, il valoroso espugnatore di Monte Fontana, l’ardito vincitore di Magenta, il caro e terribile Mac-Mahon, lodato e benedetto per tanto tempo da lontano, da tanto tempo aspettato e invocato, il più glorioso figliuolo della Francia, come lo chiamavano, il braccio destro dell’Imperatore, l’idolo dei soldati, il primo campione dell’esercito d’Italia, allora da quell’immensa folla agitata proruppe un grido di gioia sovrumana; gli si strinsero intorno al cavallo, lo fer-