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alla francia. 81

zero tenace, il danese tenace, cento altri tenaci; e di corridori, d’incauti, di pazzi si conta appena il francese, l’americano, e forse qualche altro di cui ci sarebbe a discutere. C’è quasi da sospettare che quel coraggio là sia più comodo, a vedere ch’è tanto più comune.

Ma si pigli pure l’argomento da un altro lato. Si scomponga nei suoi elementi codesto coraggio dell’avvenire: si troverà ch’essi sono, per esempio, la costanza, la fermezza, la fiducia profonda e salda nella forza propria, quella virtù indomata e selvaggia che vuole, e s’ostina, e s’infiamma nell’avversità, e si ritempra in sè stessa e risorge dalle cadute più fiera.

Ebbene, se la costanza si rivela in trent’anni di guerre gigantesche vinte a furia di lunghe marce forzate e a prezzo di fatiche e di stenti inauditi e incredibili; se la fermezza c’è campo di mostrarla sulle balze nevose e dirupate dei più alti monti della terra, e a traverso i deserti, le lande, le paludi, a lontananze sterminate dalla patria, circondati di nemici, senza rifugio, senza soccorso, senza pane; se la fiducia nella forza propria ci è modo di spiegarla provocando l’Europa, gettandosi in mezzo a cinque eserciti nemici, riannodandosi, sgominati e dispersi, al suono d’un grande nome e all’annunzio d’un grande disegno; se la virtù selvaggia che vuole e s’ostina c’è maniera di provarla rinnuovando dieci volte gli assalti disperati, morendo a mille a mille nelle marce disastrose senza alzare una protesta e senza proferire un lamento, e raggruppandosi e serrandosi in una piccola schiera, nei momenti supremi della sconfitta, per atterrire il nemico della sua vittoria e mostrare al mondo come si muore; se a tutte queste cose si può dare il nome di costanza, di fermezza, di fiducia, di virtù, più che d’impeto cieco e di foga istantanea, si giudichi se al soldato francese manca il coraggio dell’avvenire.

E poi, impeto! corsa! Ma, Dio mio! mentre si fa