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82 alla francia.

impeto e si corre, i nemici fanno i fuochi di fila e scaricano i cannoni; la mitraglia squarcia le colonne assalitrici e sparge il terreno di membra spezzate e di sangue; e bisogna non badarci, bisogna serrar le file e procedere, bisogna passar sui cadaveri e fissar gli occhi sui crani spaccati senza lasciarsi prendere dal terrore e dalla disperazione; bisogna aver la forza di sentire col cuor fermo le grida orrende degli amici e dei compagni che giacciono mutilati e sformati, e guardare in viso la morte e saper morire; e che a dar questa virtù sovrumana bastino l’immagine della patria, i colori della bandiera e il grido del colonnello. Questa è la furia dell’assalto francese, la furia che prese il Monte dei Cipressi, la chiesa di San Nicola, la torre di Solferino, le alture scoscese e formidabili di Pellegrino e di Folco; impeto! corsa! è un impeto che copre le chine di cadaveri, è una corsa di sangue che rimanda a casa i reggimenti decimati, e popola gli ospedali di braccia tronche e di gambe recise.

Il soldato francese ha anch’egli la sua ostinazione, l’ostinazione bella e spaventevole dell’ira; domandate agli Austriaci s’egli sa farsi trafiggere sui cannoni e intorno alle bandiere.

Era da prevedersi: la fama dei generali non basta più oramai a saziare la malignità di chi sospirava l’umiliazione della Francia; si dubita dei soldati. Oh! è un dubbio infame. I campi di Wörth e le alture di Wissemburgo sono seminate di cadaveri prussiani. Le colonne del principe reale e del principe Federico s’avanzano per una campagna allagata di sangue. I dispacci che annunziano la vittoria a Berlino hanno tutti una parola di dolore sulla tremenda grandezza dell’eccidio ch’esse costarono ad ambe le parti. E non si potrebbe, senza infinita viltà, dubitare del valore francese da noi, che li vedemmo morire al nostro fianco