Pagina:De Amicis - Ricordi di Parigi, Treves, Milano 1879.djvu/150

Da Wikisource.

vittor hugo. 147


siero, e vi s’aggira come in un labirinto, senza trovarne l’uscita. Ma anche nei suoi smarrimenti è grande. Anche in quelle pagine affaticate, tormentate, astruse, in cui volendo esprimere l’inesprimibile, tenta da tutte le parti il proprio concetto, e accumula metafore su metafore, paragoni su paragoni, e ricorre inutilmente al suo misterioso linguaggio di tenebre e di luce, d’ombre e d’abissi, di inconnu e di insondable, e tutta la sua fortissima e ricchissima lingua non basta a render nemmeno una pallida idea di quel non so che di immane e di mostruoso che ha nel capo; in quelle pagine i freddi pedanti trovano con gioia una presa assai facile alla critica che distrugge e deride; ma l’anima dell’artista vi sente l’anelito del titano che lotta con una potenza sovrumana, e assiste a quegli sforzi poderosi con un sentimento di stupore e di rispetto, come a uno di quegli spettacoli in cui un uomo rischia la vita. Eppure sì, leggendo le opere sue, accade qualche volta che, arrivati